Cesare Brandi

presentazione alla Galleria La Medusa, Roma gennaio 1958

Quel che distingue in primo luogo la pittura di Piero Sadun fra quella che si fa oggi, è la sua calamitazione verso la forma, è il senso giusto della Storia, come cultura di immagine che trasmette. Appunto perché non è una pittura che cerchi il meglio dietro di sé, ma, da quel meglio che si è scelta, procede. Il meglio è Morandi e Mondrian, due poli apparentemente inconciliabili, naturalmente conciliati nella fantasia dell'artista. Si sa che la fantasia è fuori moda; nei vari nomi da quando è sorta l'arte nella storia dell'uomo, ossia da quando è cominciata la Storia e, dunque l'uomo, la fantasia si è troavata ad avere, si rivela la reale fenice che risorge dalle sue ceneri.
Non so quale è il suo nome attuale, sotto il quale, appena individuata, ci si affretterà a bruciarla. Comunque è sicuro che non sarà Sadun a compiere l'operazione. E intanto l'ha ritrovata in questo connubio, per nulla arbitrario, del colore spazializzato di Morandi e del ritmo spaziale di Mondrian. Il colore spazializzato gli permette l'assenza totale di chiaroscuro come racconto inerente all'oggetto; il ritmo spaziale di Mondrian gli consente di avere una tela tutta ugualmente sensibilizzata e non l'oggetto, poiché, quel che conta nell'immagine, è il potere che ha la coscienza di individuarla senza doverla riconoscere nel vivo del mondo esistente. Dunque l'immagine di Sadun non vuole staccare gli ormeggi e procedere nell'arbitrio di un nebuloso endonismo, o di una pretesa rivelazione di profondità abissali: e resta riconoscibile quel tanto che le permette di essere conoscibile.
Anche per chi insegue le date e taglia i traguardi questa pittura è assolutamente d'oggi e non si potrebbe alterarle l'anno di nascita: ma è d'oggi senza nascondere una ascendenza formale legittima, quella di Morandi e di Mondrian, dalla cui scintilla si è accesa. E quanto sia cosciente la scelta dell'esca offerta a questa scintilla, lo dimostra il cammino precedente del pittore, che, prima espressionista, ma poi preso dalle appassite delizie tonali, indi rotte, come si rompe un vetro, con un fantasioso cubismo, ritrova ora le sue esperienze precedenti, limpide e filtrate, e tutte sommessamente disponibili, come le varie tastiere di un organo che tuttavia servono ad una esecuzione unica e fusa.

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