Cesare Brandi

presentazione per la mostra antologica di Palazzo Barberini, Roma dicembre '76 – gennaio 1977

Il suo amore per la vita si spense solo sul filo della morte. Durante tutte le sofferenze inenanerrabili di una malattia per cui la cura fu ancora più straziante del male stesso, Piero rimase come un combattente che non vuole cedere per nessuna ragione ad un nemico implacabile. Non una volta, durante più di due anni che la malattia durò, l'ho sentito dire, come credo sarebbe accaduto a chiunque, che era meglio morire, che vivere in quel modo, colpito proprio nella parola, di cui viveva, pr cui viveva. Nemesi atroce, ma non vi si rassegnava e parlava, parlava con quel filo di voce, impercettibile quasi, più affidato al movimento delle labbra, che al suono in se stesso.
Questa sua morte e il comportamento davanti alla morte, la dicono lunga del suo carattere, in cui tutti gli opposti sembravano affrontare, senza una composizione una volta per sempre, ché ogni volta l'antitesi si riproduceva, e naturalmente, negli spettatori precedeva la colorazione spesso meno benevola, anzi spesso decisamente malevola. Così la sua estema sensibilità diveniva sensiblerie, il suo modo di porgere, così umano e raffinato, una posa mondana, la sua giusta ambizione di uomo e di artista, vanità. La questione è che Piero Sadun aveva troppe doti da farsi perdonare. Ma che a queste doti non avesse soggiaciuto, la sua vita intensa, addirittura vorticosa a volte, stava a dimostrarlo. Allo scoccare della ferocia campagna antiebraica, Piero dové cercare un rifugio, ma fu un rifugio attivo, fu partigiano sui monti aretini. Lo vedo ancora quando, vestito da prete in bicicletta, e accompagnato da un bravo prete, quel Don Luigi che avrebbe dovuto passare in seguito in immagini memorabili, andò da Siena ai monti di Arezzo.
Delicato e sensibile, ma per mesi e mesi non mollò fino alla fine della orrenda guerra. Quando ritornò, il suo primo pensiero fu la pittura. Piero aveva una recettività attiva, vorrei dire; certe cose gli arrivavano per l'aria, o come gli uccelli quando si muovono per il passo. Non era ignorante, non era primitivo, anzi era colto, raffinato e sapeva voltare tutto cio che toccasse per il suo verso. Questa capacità, versatilità felice e immediata, stette alla base dei suoi quasi repentini cambiamenti. E in fondo a tutto stava una sete di materia che si esprimeva nel colore. Ma prima di essere colore era materia.
La materia è il basso continuo di tutti i suoi svariati modi di essere come pittore, ed è singolare che, all'esplodere dell'informale, invece non reagisse. Non reagì, io credo, per quanto fosse un critico velocissimo e quasi infallibile della pittura altrui, perché la materia l'aveva nel sangue, era il suo sangue fitto e splendente, o opaco e dimesso, ma sempre corposo, sempre denso, sempre pronto ad assumere aspetti plastici e luminosi.
Questo fatto dové portarlo – non se ne è mai parlato – a considerare l'informale non un punto di arrivo, almeno per lui, ma un transito, un passaggio. Ed è solo negli ultimi quadri che questo passaggio sfocia in una pittura d'un ritmo celere e segreto, spogliandosi di toni, come un albero delle foglie. Grandi superfici tremule, come increspate, e increspate come un'acqua densa che risponde alla brezza rabbrividendo. Ma proprio di fronte a questi quadri, monocromi e in un certo senso informali, si sente la parentela segreta con la pittura che fu il suo primo raggiungimento, quando navigando fra Soutine e Stradone, trovò la sua rotta di una intensità ammirevole, con una scrittura che era sismogramma della sua sensibilità.
I ritratti di Don Luigi, a cui si è accennato, rappresentano senza dubbio il culmine dell'attività prima di Piero Sadun, e in essi c'è la sua dichiarazione per la materia densa, che quasi fumiga sotto il pennello, che s'ammassa e si sfrange come in un ultimo spasmo. Nelle ultime pitture le grandi superfici monocrome presentano un ritmo interno quasi frenetico, un risucchio di piccoli gorghi, un incresparsi di creste minute come il mare quando cade il vento e non subito cessa il moto ondoso, placandosi in un improvviso silenzio, il silenzio che seguì alla sua voce spenta dal male.

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